A ciascun autore il suo diritto (anche su Facebook esiste il copyright)

22 Novembre 2017

Ogni secondo, su Facebook, nascono 41 mila post e su Instagram 3600 foto. Una volta pubblicati, a chi appartengono? Come si assegna il copyright? Quante volte una fotografia pubblicata sui social ha fatto il giro del mondo, finendo nei canali mediatici nazionali e non, e diventando di fatto uno strumento di marketing? Chi ha ricevuto il compenso per la circolazione di questo contenuto? Il suo autore o Facebook Inc.?

Copyright e Social Media

Premessa: il copyright, in Italia, è una tutela che si applica automaticamente a tutti i prodotti creativi, anche quando l’autore non si è preoccupato di segnalarlo con disclaimer quali “riproduzione riservata”, “all rights reserved” e simili. Anzi, è l’autorizzazione al libero uso che deve essere appropriatamente indicata: sono nate per questo apposite licenze d’uso, ciascuna con i propri termini e condizioni. È il caso ad esempio dei Creative Commons, oppure di licenze “standard” applicate da alcuni social (come fa ad esempio YouTube con i filmati che vi vengono pubblicati). Dunque, anche se forse è un lavoro noioso, prima di pubblicare (o riutilizzare) andate a leggervi i termini di servizio del social che state utilizzando!

Il copyright secondo Facebook

Alzi la mano chi ha mai letto i Termini di servizio di Facebook. Beh, sappiate che il lavoro non finisce qui: i ToS sono ispirati alla legislazione statunitense, ma la legge del Paese in cui l’utente opera è sovrana. Cosa significa? Che se un punto dei termini d’uso di Facebook è in contrasto con la legge italiana, se state operando su territorio italiano è la legge italiana che prevale.

Ciò detto, vediamo nel dettaglio l’articolo 2, cioè quello dal titolo Condivisione dei contenuti e delle informazioni: “Per quanto riguarda i contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale, ad esempio foto e video (Contenuti IP), l’utente concede a Facebook le seguenti autorizzazioni, soggette alle impostazioni sulla privacy e alle impostazioni delle applicazioni: l’utente concede a Facebook una licenza non esclusiva, trasferibile, che può essere concessa come sottolicenza, libera da royalty e valida in tutto il mondo, per l’utilizzo di qualsiasi Contenuto IP pubblicato su Facebook o in connessione con Facebook (“Licenza IP”). Insomma, la pubblicazione di un contenuto IP su Facebook non rende tale contenuto di pubblico dominio né tanto meno ne rende Facebook Inc. il proprietario, che infatti si limita ad avere una licenza d’uso (peraltro non esclusiva): la proprietà del contenuto pubblicato resta dell’autore, e la licenza si riferisce alla possibilità di “condividere” e far girare il post. Tra l’altro, non è necessario che l’autore abbia indicato il proprio nome sul contenuto se questo è pubblicato su un social network, perché la paternità del profilo, salvo prova contraria, è sufficiente a dimostrare la titolarità del contenuto.

Ricordiamo infine che il link, anche sotto forma di deep linking e content embedding, è sempre consentito in rete. Quindi, quando pubblicando un contenuto scegliamo l’opzione “pubblico” (fra “solo io”, “solo amici”, “pubblico”), autorizziamo la libera circolazione del contenuto tramite link. Ciò che non si può fare è invece prelevare il contenuto del link e ripubblicarlo in altra sede senza la preventiva ed espressa autorizzazione da parte del titolare dei diritti.

E se non rispetto la legge?

In caso di indebita appropriazione del contenuto, viene riconosciuto al titolare dei diritti “il danno per violazione del diritto d’autore”. La pena è ovviamente pecuniaria, e viene quantificata tenendo conto di una serie di fattori: – la qualità dell’opera, stima però molto soggettiva – il tempo per cui l’atto è stato perpetrato, cioè per quanto tempo è stato pubblico e visibile il contenuto riutilizzato – il mancato guadagno per l’autore, cioè la perdita economica causata dal “furto” , valutata in base al ritorno economico che ne avrebbe ottenuto qualora non vi fosse stato l’atto di pirateria – l’utilità ricevuta dall’illegittimo sfruttatore, cioè se ne ha tratto un minimo beneficio economico (anche non per scopo di lucro) – la finalità con cui è avvenuta l’appropriazione (se per scopi commerciali o meno) Spesso per la quantificazione del danno si è fatto riferimento anche alle tabelle utilizzate dalla SIAE nel Compendio delle norme e dei compensi per la produzione dell’arte figurativa, plastica e fotografica.

I confini giuridici sono ancora confusi

Sembrerebbe tutto definito nei dettagli, ma in realtà l’inghippo sta già nelle prime righe del nostro articolo: cosa si intende con “contenuto creativo”? Come si stabilisce, in modo oggettivo, che la fotografia  che ho appena scattato è creativa? In Italia, infatti, la legge sul diritto d’autore tutela tutte le opere che siano dotate di un minimo margine di creatività.

Gli studiosi del diritto comparato si stanno arrovellando per arrivare a dare una definizione precisa della tipologia di contenuto e dei suoi utilizzi, cercando parametri su cui basare il giudizio di “contenuto creativo”. Per lo più, al momento, giocano un ruolo chiave i “digital watermarks” ovvero le filigrane digitali con il quale l’autore “firma” la foto. Cioè potrebbe bastare un filtro fotografico per rendere il prodotto tutelato con il diritto d’autore. E questo moltiplica dunque i contenuti che potrebbero essere tenuti sotto l’ala di contenuto creativo, perché con i moderni strumenti disponibili al grande pubblico (pensiamo alle svariate App disponibili per smartphone) chiunque può rivendicare i diritti d’autore anche su scatti che magari hanno, di per sé, minimo pregio artistico.

Per ora, quindi, ogni sentenza diventa un caso studio. Ci auguriamo che i giuristi sappiano ben presto trovare un accordo su come si debba intendere la designazione di “contenuto creativo”, così che potremo muoverci in modo sicuro nello schema di diritti che vige nel mondo dei social.

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Lorena

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